Avevo 19 anni quando un amico di qualche anno più grande mi propose di sperimentare una pratica che consisteva nel sedere davanti a un muro bianco e svuotare la mente; siccome a quel tempo facevo di tutto per mettere a tacere pensieri, impulsi e sensazioni, l’idea mi piacque. Provai solo un paio di volte, però. Era troppo difficile; la mia mente era come “un gatto selvatico legato a un palo”. Eppure, solo per qualche istante, mi parve di cogliere una sensazione di calma che si accompagnava a una respirazione più profonda e regolare. Sarebbero passati dieci anni prima che provassi di nuovo.
Mi ero da poco trasferito a Roma quando comprai dei testi sulla meditazione tibetana e zen, andai qualche volta in un dojo zen, poi iniziai a meditare regolarmente da solo. Decisi anche di scrivere la mia tesi di laurea sulle filosofie orientali. Quest’anno sono 20 anni che medito.
E’ una pratica che si può fare ovunque e in qualsiasi momento.
Essere presenti a se stessi e, allo stesso tempo, a ciò che ci circonda, respirare più lentamente e profondamente. E osservare i pensieri, le sensazioni, le emozioni. Come se fossimo spettatori in una sala cinematografica.
Sentire l’angoscia, la paura, la rabbia, la vergogna (“Lascia fluire il dolore, ché la felicità è senza limite, e va e viene”), ma anche l’euforia, la speranza, il desiderio.
Non respingere i pensieri negativi, non attaccarsi a quelli positivi. Non giudicarli. Noi non siamo i nostri pensieri. La mente mente: racconta storie parziali e/o distorte (“Non sono le cose a spaventarci, sono le nostre idee delle cose”).
Ogni volta che vi accorgete di essere avviluppati a un pensiero o a un’idea fissa, toccateli con gentilezza e precisione, riconosceteli, respirate, tornate a voi, al centro. Guardateli sciogliere come neve al sole. Alcuni sono chiazze di neve, si scioglieranno presto. Altri sono pezzi di ghiaccio, ci vorrà di più; ma anch’essi con la costanza si scioglieranno.
La meditazione riflette le stesse dinamiche di un’esistenza interpsichica e intrapsichica equilibrata: inutile fuggire di fronte alle difficoltà, distraendosi col rumore, la frenesia, l’eccesso nel lavoro, nel sesso, col cibo, l’abuso di sostanze o psicofarmaci. Inutile mettere la testa sotto la sabbia. Le difficoltà non spariranno, anzi.
Stare, respirare con calma e profondità. Non c’è altro. Il passato è passato. Il futuro ancora non è. La realtà è qui, adesso.